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DEL TRADUTTORE ITALIANO.

Per quanto la nostra Italia sia stata sempre feconda di genj sublimi in ogni branca delle scienze, in ogni ramo delle umane cognizioni, come lo è tuttora, e sovrabondi per conseguenza di Opere eccellenti da essi in quelle prodotte, pure si è ella compiaciuta in ogni tempo di apprezzare anche le Opere insigni degli Autori delle straniere nazioni in materie di scienze, e di letteratura, ed ha avuto cura di quelle far riportare nel proprio idioma dai suoi più abili figli, quali ben di genio sonosi a ciò prestați, all' og getto che trarne potesse profitto l' intiera nazione, sapendo aver essa tutto il diritto, ed anzi un tal qual obbligo di valersene, per la ragione che gli scrittori tutti hanno avuto sempre ed hanno certamente il doveroso scopo in mira di rendere utili le loro fatiche al genere umano in generale, e non mai alla loro respettiva nazione esclusivamente: saggio invero, e lodevole divisamento, perocchè

VILLE DE LYON

Biblioth, du Palais des Arts

se si accomunano in una nazione tutti i lu

mi e le produzioni dello spirito a reciproco vantaggio, considerandosi tutti gl'individui di essa come membri di una stessa famiglia, devon del pari accomunarsi fra le colte nazioni tutte, mentre devon pur queste esser riguardate quali porzioni dell' intiera social famiglia sparsa sul globo che noi abi

tiamo.

Assai importante mi è sembrato per questo che non debba l'Italia esser più a lungo priva della traduzione del tanto grazioso, ed insieme sublime poema inglese delle Stagioni di Tompson. Io avevo già da molto tempo scolpita di esso nella mente la più vantaggiosa idea, avendolo veduto tenere in sommo pregio, non dallo spettatore inglese soltanto, ma da scrittori anche insigni di altre nazioni, onde aspettavo leggerlo un giorno trasportato nel nostro idioma; ma avendo veduto non esser ciò, a mia saputa, stato fin qui effettuato da veruno dopo il lasso di molti anni, mi determinai di supplirvi io stesso.

Io ho avuto luogo di trovarmi contento di questa intrapresa, poichè tanto è dilettevole tal poema ch' egli è riuscito, durante il tempo in cui ho potuto occuparmene,

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rimuovere dal mio spirito la trista melanconia, cui la mia avversa fortuna mi rese sog getto fino dai mici più teneri anni. Sì, questa malefica divinità cominciò a maltrattarmi fin da quell' epoca. Il mio poema, l' Infelicità, pubblicato in Livorno dai torchi del Masi nel 1788, qualunque egli sia, fa di ciò piena fede. Ma assuefatto agli ostili trattamenti di questa Dea stravagante e capricciosa, e incoraggiato dai segreti impulsi dell'onore e della virtù, ko potuto sempre con forte, sebben non lieto animo, respingere i di lei attacchi, ed ho osato fin dileggiarla. Io le ho spesse volte ripetuto con Metastasio,

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«Che speri, instabil Dea, di sassi, e spine <<< Ingombrando ai miei passi ogni sentiero? << Ch'io tremi forse a un sguardo tuo severo? « Ch'io sudi forse a imprigionarti il crine? Serba queste minaccie alle meschine «<< Alme soggette al tuo fallace impero, « Ch'io saprei, se cadesse il mondo intiero, << Intrepido aspettar le sue rovine, ec.

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Frattanto mi vado vendicando di essa con adoprarmi a far quel bene che posso agli altri; ed in questa veduta un altro forte motivo, derivante dalla natura del poema

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