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Premessi questi cenni generali, lo scrivente si studierà d'illustrare adesso nelle singole sue parti, ed il meglio che per esso si potrà, il lavoro della Commissione.

Tutte le disposizioni essenziali del disegno di legge possono raggrupparsi sotto tre sommi capi corrispondenti alle tre grandi questioni accennate piú sopra e nelle quali si riassume tutto il problema dell'estradizione, i reati pei quali l'estradizione possa ammettersi, le persone cui possa applicarsi, la procedura con cui debba regolarsene l'esecuzione.

Scopo precipuo del presente riepilogo si è quello di mostrare, seguendo lo stesso ordine, in che modo e da quali principi guidata abbia la Commissione stimato di rispondere alle tre indicate questioni.

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Partizione della materia.

I.

REATI PEI QUALI È AMMESSA LA ESTRADIZIONE.

Nel determinare i reati pei quali può ammettersi la estradizione, il Progetto si è conformato, con qualche temperamento, alla dottrina moderna, la quale, considerando la estradizione come un complemento necessario del diritto di punire, la stima ammissibile, in principio, per qualunque violazione dei diritti naturali dell' uomo, la quale sia abbastanza grave da rendere giusta e necessaria una pena.

Secondo questa dottrina, il criterio per concedere o

Criterio gonerale.

Tre metodi di design'azione dei reati.

Metodo delle nomenclature.

negare la estradizione stȧ nel vedere se il fatto pel quale essa vien domandata costituisca o no una di quelle azioni che la legge morale universale condanna e la legge della comune sicurezza vuole represse con una pena.

Accettato questo criterio, tutti i reati di diritto comune, ad eccezione soltanto di quelli che per la loro minima importanza restano sufficientemente puniti col volontario esilio dalla patria, possono ammettere l'estradizione; non possono ammetterla i reati che non sono di diritto comune, ma bensi politici o di creazione politica.

Trattandosi di applicare e di tradurre in articoli di legge questo primo principio, si presentavano agli autori del Progetto tre diverse vie: 1a, quella seguita dalle leggi inglese, belga e olandese, del nominare uno per uno i singoli reati che possono dar luogo all' estradizione; 2o, quella seguita dal progetto francese, dell'indicare, cioè, semplicemente le categorie generali dei reati; per esempio, tutti i crimini; tutti i delitti di una determinata gravità; 3a, quella di proclamare il principio della estradizione per qualsiasi specie di reato, indicando poi le categorie da eccettuarsi.

Il primo metodo, quello delle nomenclature, ha certamente il pregio della massima precisione, in quanto esclude, a priori, il pericolo di comprendere nella legge dell'estradizione alcun reato che non sia nella intenzione del legislatore d'includervi, come di lasciarne fuori, per contrario, alcuno di quelli che esso vi vorrebbe compresi. Un tal metodo é indispensabile nei trattati, quando le legislazioni dei due Stati contraenti, come spesso accade,

essendo discordi nel classificare i reati, rendano impraticabile una semplice indicazione per classi o categorie. Questo sistema ha, però, il difetto di riuscire sempre più o meno arbitrario, soverchiamente prolisso pei lunghi e minuziosi elenchi che richiede, ed infine non pieghevole, come si vorrebbe, alle future possibili evoluzioni del Diritto Penale, per cui azioni, che ora non sono reati, possono in seguito divenir tali, e viceversa altre azioni, che costituiscono reato oggi, possono non più costituirlo domani.

rali.

Assai più razionale appare il secondo metodo, quello Metodo delle delle categorie generali. Se non che, una volta ammesso il principio che tutti i reati di diritto comune, salvo i reati minimi, possano ammettere l'estradizione, non si vede perché debbano farsi distinzioni di categorie. La distinzione più importante, quella generalmente ammessa nei codici, di crimini e delitti, essendo fondata non sulla natura intrinseca del fatto, ma sull' indole della pena, non ha in realtà alcun valore scientifico, ed è ancora incerto se finirà per essere ricevuta o respinta nel futuro Codice Penale del Regno d'Italia.

D'altra parte, lo stesso progetto di legge francese, che segue tal distinzione, addimostra il poco conto che esso ne fa, dal momento che ammette potersi dare estradizione anche per semplici delitti, purché non troppo lievemente puniti.

Per queste considerazioni, gli autori del Progetto hanno dato la preferenza al terzo dei tre sistemi indicati, al metodo, cioè, che potrebbe dirsi metodo di eliminazione.

Il progetto di legge comincia, infatti, dal porre il prin

Metodo di eliminazione.

Fatti non costituenti reato

cipio che l'estradizione può accordarsi per qualsiasi fatto, avvenuto all'estero, che la legge italiana considera come reato, e passa quindi ad enumerare le categorie di reati che, per essere troppo lievi o di natura politica, devono eccettuarsi dalla regola dell'estradizione.

Ben giustamente si richiede come prima condizione secondo la leg- che il fatto abbia carattere di reato a termini della legge

ge italiana.

italiana.

È questa una conseguenza logica del principio che soltanto le offese al diritto naturale, i reati juris gentium, possono giustificare l'estradizione.

Se il fatto non sarebbe punibile ove fosse commesso sul nostro territorio, ciò è segno che nell'opinione del legislatore italiano esso non costituisce un'offesa del diritto naturale abbastanza grave da poter servire di fondamento al diritto di punire.

Se vi sono dei fatti che la legge straniera considera come reati e la legge italiana non considera tali, se qualche legislazione, inspirata a principi diversi da quelli che noi reputiamo i veri, punisca l'usura, l'eresia, gli atti preparatori, non è questa una ragione perché noi dobbiamo considerare questi fatti come reati, perché dobbiamo prestare il nostro concorso allo Stato straniero che ne reclama la punizione.

Si è obiettato, è vero, da alcuni potersi dare il caso che la legge penale di uno Stato non abbia contemplato certi fatti, che pur sono contemplati dalla legge penale di un altro Stato, non già perché nella mente del legislatore essi non siano atti immorali e meritevoli di re

pressione, ma solo perché, attese le speciali condizioni sociali o territoriali del paese, non si è sentito il bisogno di colpirgli con una pena; citano l'esempio di Roma antica, le cui leggi non punivano, perché creduto impossibile, il parricidio, e quello della Svizzera, che, non avendo coste marittime, non punisce la pirateria, la baratteria, la sedizione a bordo di una nave e gli altri reati che si commettono sul mare.

L'obiezione non manca certo di valore in astratto.

Essa ne ha, però, ben poco nel caso nostro speciale, nel caso, cioè, di una nazione come l'Italia, la quale per le sue condizioni di civiltà e di territorio si presta, pur troppo, a qualsiasi maniera di reato.

Oltre di che, in una legge è necessario il servirsi di formule nette e precise, tali da lasciare il minor campo possibile all'arbitrio.

A questa necessità non soddisferebbe certamente la formula - reati di diritto comune o di diritto naturale - la quale, se scientificamente esatta, ha il grave difetto di essere troppo indeterminata, di prestarsi a mille interpretazioni diverse, di non dare alcuna norma certa, di non essere, in una parola, una formula pratica.

Per contrario, la formula adottata nel Progetto fatti puniti dalla legge italiana come reati —, se non sarà teoricamente l'ottima, è però tale praticamente, come quella che, mentre si approssima abbastanza al vero, ha il vantaggio di non lasciar luogo al minimo dubbio sull'idea che esprime, di servire di norma sicura, cosi al. Magistrato, come al negoziatore dei futuri trattati.

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