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PROLEGOMENI

1.

Ci hanno alcune verità primordiali che l' uomo intuisce e

sente, e che la potenza dell' intelletto e le ricerche della storia non bastano ancora a dimostrare. Sono alcuni principii che la mente nostra deve ammettere come primitivi e necessarii, perchè la natura finita del nostro essere ha d'uopo della indisputata certezza di alcune verità, per potere da esse procedere nelle ulteriori indagini del pensiero umano. Ed è chiaro; siccome l'uomo non è causa prima, ma invece uno dei multiformi effetti di questa, così egli non può trovare in sè stesso una ragione sufficiente e del proprio essere, e della propria finalità. Per lo contrario, deve accettare alcuni fatti e alcune necessità come derivanti da una causa superiore, causa prima di ogni cosa creata. Tra quei fatti, è la unione degli uomini in società; fatto costante, universale, che sfugge alle ricerche storiche, perchè coevo dell' uomo, ma che l'intelletto nostro sente di dovere ammettere come indiscutibile. Tra quelle necessità, è la tendenza irresistibile dell' uomo alla socievolezza; cioè

quella spinta insita nella natura stessa dell' uomo, per cui egli sente e conosce che la società de' suoi simili è la sua predestinazione, e che solo per questo mezzo gli è possibile il raggiungimento de' suoi fini individuali. Questo fatto e questa necessità adunque, dobbiamo accettare ed ammettere quali verità primordiali; istessamente come chi si fa a studiare i fenomeni fisici o cosmici della materia, deve riconoscere per incontrovertibile quella legge universale di gravitazione che all'uomo si manifesta pe' suoi effetti, ma di cui gli è impossibile conoscere la intrinseca natura, se non facendo capo alla esistenza di una causa suprema, principio e fine di ogni creazione.

Però non basta dichiarare che la società degli uomini è un fatto necessario della nostra esistenza; non basta dichiarare che fuori di società l'uomo non potrebbe attendere all' opera del proprio perfezionamento. È d'uopo altresì vedere per quali mezzi egli può così liberamente e intieramente sviluppare tutte le sue attività da farsi idoneo al raggiungimento de' suoi fini individuali; con altre parole, è necessario studiare quelle condizioni di fatto le quali rendono possibile all' uomo unito in società la estrinsecazione delle sue facoltà fisiche, intellettuali e morali, sicchè dal simultaneo sviluppo di queste, da parte di ciascuno di noi, non si ingeneri confusione o conflitto, ma quella tranquilla ordinata convivenza, che è condizione precipua di ogni perfettibilità.

Come non è possibile che l'uomo viva fuori di società, non è del pari possibile che vi abbia una società senza governo; cioè, senza un potere superiore alle forze di ciascuno. dei congregati, capace di difendere ogni singolo membro della associazione, di farlo reintegrare nel godimento de' suoi diritti, e di assicurargli una ulteriore pacifica, ordinata convivenza ; sicchè sia possibile la unità nella moltiplicità, l'ordine e l'armonia nella varietà. Quest'ordine, questa unità, quest' armonia di movimento e direzione che sovraintende al tranquillo estrinsecarsi delle personali autonomie e si vale delle forze di tutti per impedire o reprimere le eventuali offese di ciascuno dei

congregati, sono adunque essi pure un portato naturale, necessario della natura socievole dell' uomo ; perchè altrimenti sarebbe impossibile la esistenza stessa della società.

Tale verità è da tutti sentita e universalmente riconosciuta, e pur da quelli che un di farneticarono sullo stato estrasociale degli uomini. Difatti, le stesse orde selvaggie di alcuni popoli dell' Africa, dell' Oceania, dell' Asia e dell' America, organizzate come sono a tribù, riconoscono ed obbediscono l'autorità di un potere superiore che si fa giudice delle loro contestazioni, le conduce alla guerra, e si fa l'organo, insomma, della volontà collettiva dei consociati allorquando è questione dell' interesse comune. Tanto è inconcussa la verità delle annunciate premesse !

Ricordati questi due fatti primitivi, la necessità, cioè di uno stato sociale, e, come indeclinabile derivazione, la esistenza di una autorità conservatrice e direttrice delle attività dei consociati, vediamo quali siano i rapporti di questa autorità suprema con i singoli membri della consociazione. Vediamo quale sia la natura dei rapporti giuridici che passano tra i cittadini e lo Stato; perchè cittadini diconsi i membri di una associazione ordinata di uomini, abitante fissamente un determinato territorio, retta da una suprema autorità civile, la quale provvede all' ordinato svolgimento delle personali autonomie; e Stato, il corpo stesso collettivo di questa associazione di uomini, in quanto esso s' incarni nelle estrinsecazioni della sua attività in un potere supremo conservatore e moderatore, capace di diritti e di doveri.

Si disse più sopra, l' uomo essere predestinato alla società; potrebbe anche dirsi, e del pari esattamente, la predestinazione dell' uomo essere il proprio perfezionamento; poichè la società non è che il mezzo, quantunque il più idoneo dei mezzi, il mezzo necessario, col quale egli può raggiungere i fini supremi della sua esistenza. Come tale, questo mezzo non dovrà avere una potenza maggiore di quella che è d'uopo al conseguimento dei fini a cui unicamente serve; poiché se mancasse di potenza

idonea e sufficiente, verrebbe meno a sè stesso e sarebbe inetto allo scopo per cui fu istituito; se ne avesse troppa, imporrebbe sè stesso allo scopo, si farebbe scopo esso stesso, o, quanto meno, vi saria un eccesso di attività che non avrebbe ragione alcuna di esistere. Ed è così di tutte le cose umane; ogni mezzo è ritenuto idoneo allo scopo, quando per esso nè più addietro si resta, nè più avanti si procede di quello che è necessario a raggiungere lo scopo per cui il mezzo fu assunto; niente niente che vi abbia insufficienza od esuberanza, il mezzo non serve più al fine e va mutato. Siccome poi la missione dell' uomo quaggiù è l'attuazione graduale dei principi di ragione e giustizia nei rapporti esterni, così è d'uopo che quel potere supremo moderatore, il governo dello Stato, abbia nè più nè meno di quella giuridica efficienza che è riconosciuta necessaria ad assicurare a ciascun congregato il pacifico, ordinato svolgimento della sua personale autonomia, e ad impedirne, o reprimerne se consumate, le violazioni. Ecco impertanto che se l'uomo non può far senza di questo mezzo e non ha facoltà di mutarlo, può per altro, anzi deve siffattamente modellarlo che risponda con perfetta armonia allo scopo per cui fu instituito; ecco quanto è fallace la dottrina di coloro che vorrebbero fare del potere sociale, o dello Stato, l'unica origine di tutti i diritti dell' uomo, e lo considerano come quell'unità collettiva che, decomponendosi ne' suoi elementi giuridici costitutivi, fa sorgere le individuali unità giuridiche.

Il potere sociale, o Stato, adunque, essendo un sistema di guarentigie, non deve togliere menomamente a ciascuno di noi alcuna delle nostre libertà che come uomini possediamo; non deve spogliarci di nessuno di quei diritti che sono inerenti alla nostra natura e sono parti integrali, necessarie di questa; non debbe volere che per noi si ristringa la nostra attività esteriore più di quello che è voluto dal rispetto degli altrui diritti, sicchè il simultaneo esplicamento delle comuni attività non ingeneri lotta o confusione, ma ordine ed armonia. Onde è che lo Stato non dà nè toglie, o, più esattamente, non deve dare nè

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